L'umiltà e la determinazione di un uomo in una notte di primavera a Parigi.

Philippe Chartrier
Lo stadio Philippe-Chartrier all'imbrunire (foto dal profilo IG di Federer)

I miei pochi affezionati lettori sanno che non mi cimento quasi mai nel commentare le vicende del tennis di oggi e che preferisco le atmosfere nostalgiche del passato. Ancora una volta l'eccezione è ispirata, come nel 2019 (leggi qui), da Roger Federer e da un terzo turno al Roland Garros sulla carta piuttosto facile, contro un carneade che risponde al nome di Koepfer, mancino maleducato (andare nella metà campo avversaria per sputare su un segno di una pallina uscita di poco non è elegante) n. 56 Atp al momento della sfida. A guardare le statistiche però si capisce che la partita è stata complicata, costellata da una valanga di errori non forzati dello svizzero, ma anche da tante discese a rete e tanti vincenti.
A guardarla davvero questa partita, per tre ore e mezza tra gli sguardi perplessi di chi ti sta accanto, si capisce che è stato scritto un altro canto di quel poema epico che è ormai diventata la storia dell'elvetico.

Tre ore e mezza con le mani fredde e sudate per la tensione. Ad ammirare un mio coetaneo miliardario che nel crepuscolo di una notte di primavera al Bois de Boulogne si batte come un leone sul centrale del Roland Garros, vuoto come non mai come se fosse un campo di un club di periferia qualsiasi, dove riecheggiano i suoi respiri affannati tra uno scambio e l'altro e i rimproveri rivolti a se stesso per i colpi sparati fuori dal campo. Esattamente come facciamo noi discepoli del tennis della domenica, immaginandoci invano di muoverci e di colpire la palla come lui (chi non lo ha mai immaginato, mente).

A un certo punto su uno smash steccato verso il cielo sbuffa e tossisce. E lì capisci che è umano quanto te. E forse guardando le stelle oltre il tetto del Philippe Chartrier si mette in testa che questa non è la serata per uscire dallo stadio sconfitto. E mentre mi annoto diligentemente tutti gli schemi che applica al servizio, mi rendo conto di come stia cambiando le regole, mischiando tutti i colpi e tirando fuori dal borsone quelli proibiti per chiunque altro, che piano piano sgretolano le certezze di Koepfer, bravo fin lì a stare sempre in partita con ottimi colpi da fondo e un rovescio pungente.

A guardarla tutta, per tre ore e mezza ti chiedi chi glielo faccia fare, a quasi 40 anni, di farsi prendere a pallate da uno che ne ha 13 meno di lui e che atleticamente è messo molto meglio. Lo spiega lui stesso: "For the love of the game." Roger ci insegna che per vincere certe partite devi rispettare il gioco e avere l'umiltà di non credere che la tua esperienza e il tuo talento ti salveranno. Alla fine sono la pazienza, la determinazione e la passione che ti portano a vincere oppure, in caso di sconfitta, ad uscire dal campo a testa alta.

Dopo averla guardata tutta, l'annosa e noiosa questione su chi sia il più grande tennista di sempre francamente non mi interessa e la lascio ad altri. Ognuno è campione del suo tempo, come sostiene Rod Laver. Io mi limito a constatare che una partita di tre ore e mezza di altri campioni (da Nadal a Djokovic ai presunti fenomeni della NextGen) faccio fatica a guardarla. E se da quando Baggio non gioca più, non è più domenica... quando Federer non giocherà più...

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