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  • davide a. milani

La solitudine e il fascino dei campi abbandonati.

Between their lines, my vulnerabilities felt safe (Maria Sharapova, in un'intervista su Vanity Fair)



campo s. m. [lat. campus «campagna, pianura» poi «campo di esercitazioni, campo di battaglia»]. – Termine che ha assunto (per evoluzione dai sign. principali che già aveva nella lingua d’origine) notevole varietà di accezioni e di usi, rimanendo però sempre legato alla sua accezione fondamentale, e cioè: spazio libero, contenuto entro limiti concretamente o idealmente determinati e con caratteristiche proprie. (...) 3. a. Spazio scoperto e in genere piano, circoscritto per un uso determinato, variabile per forma e dimensioni: c. sportivo (o semplicem. campo), terreno opportunamente predisposto secondo le norme dei regolamenti, in cui si svolgono le gare e gli incontri dei vari sport (...).

(Treccani)


Ventitré e settantasette per dieci e novantasette.


Si svolge tutto in una geometria di rettangoli inscritti in altri rettangoli, teatri di migliaia di partite, custodi dei gesti bianchi, memoria muta di traiettorie e di volée, di colpi vincenti e di errori gratuiti. Sono i campi di tennis di tutto il mondo. Sebbene ci siano quelli leggendari, incorniciati da spalti e stadi che hanno visto le imprese dei più grandi campioni (dal Centre Court di Wimbledon, all'Arthur Ashe di Flushing Meadows fino al Pietrangeli del Foro Italico per citarne solo alcuni), sono i campi abbandonati quelli più affascinanti. Quando sono isolati, o pertinenze di qualche condominio di prestigio costruito negli anni Sessanta o Settanta, la loro decadenza è proporzionale all'assenza di appassionati in grado di farli vivere. Un campo abbandonato è un campo che muore lentamente, inghiottito progressivamente dalla vegetazione e rovinato dalle intemperie. Oppure, nella visione più positiva del mio amico Max Saggia (www.tennismyself.com), è un campo che riposa in attesa di una nuova vita.





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